Presidenza
Antonio Varsori
Relatori
Daniele Pasquinucci
Daniele Caviglia
Lorenzo Mechi
Discussant
Federico Niglia
Abstract
Il panel trae ispirazione da un progetto di ricerca avviato di recente da un gruppo di studiosi di università italiane, del quale sono membri anche i proponenti. Nonostante alcuni risultati preliminari di tali ricerche siano già stati presentati in contesti diversi, i contributi che compongono il panel qui proposto si basano su contenuti totalmente originali.
Intento generale del progetto è ricostruire l’impatto che le riforme apportate al trattato CEE fra la metà degli anni 80 e l’inizio del nuovo millennio – con l’Atto Unico Europeo (1986), i trattati di Maastricht (1992) e di Amsterdam (1997), e i nuovi meccanismi del bilancio comunitario introdotti dai “pacchetti Delors” I e II (1988 e 1993) – ebbero sull’assetto politico, economico e sociale italiano. Estendendo la sfera d’azione della Comunità/Unione Europea, modificandone la struttura istituzionale e rafforzandone in modo consistente i poteri, le riforme menzionate determinarono infatti un cambiamento radicale nel processo d’integrazione, che ebbe ripercussioni vaste e profonde in tutti i paesi membri.
Al di là di qualche lavoro di sintesi (Varsori 2010 e 2013) e di alcuni approfondimenti specifici (Curli 2014), i lavori anche recenti sulla storia dell’Italia repubblicana riservano poco spazio al modo in cui le dinamiche europee influenzarono le scelte e gli equilibri interni di quegli anni, limitandosi a generici riferimenti ai vincoli posti dai parametri di Maastricht, alle difficoltà connesse col recepimento delle direttive comunitarie e a poco altro (Crainz 2012, Colarizi 2016, fa parziale eccezione Craveri 2016). Le numerose fonti oramai disponibili sul periodo in questione, anche di carattere archivistico, consentono invece di ricostruire in modo dettagliato i vari aspetti della suddetta influenza, individuando i numerosi ambiti che ne furono interessati e tracciando così le vie attraverso le quali le riforme europee trasformarono, di fatto, la costituzione materiale del paese.
È in quest’ottica che si pone il panel qui proposto, presentando tre interventi che ricostruiscono il modo in cui i meccanismi europei stimolarono cambiamenti di rilievo nella gestione della politica economica e nella struttura e nelle dinamiche istituzionali del paese. Analizzando, in particolare, l’impulso che le nuove regole europee diedero alla progressiva marginalizzazione del Parlamento nel processo legislativo, al peso crescente della tecnocrazia nelle decisioni di politica economica e alla ristrutturazione dell’assetto regionale italiano, esso intende perseguire contemporaneamente due obiettivi. Il primo è fare chiarezza su un periodo fondamentale sia per la storia dell’integrazione europea che per la storia nazionale, evidenziando i legami profondi fra le due dimensioni e fornendo, in questo modo, nuove chiavi di lettura per la comprensione delle problematiche del nostro tempo. Il secondo è contribuire, per questa via, a far venir meno divisioni artificiose ancora presenti nella storiografia, che sembrano guardare alla storia d’Italia, dell’integrazione europea e delle relazioni internazionali come a compartimenti stagni, e che rappresentano un evidente ostacolo ad una comprensione adeguata di vicende di primissimo piano.
L’altro deficit democratico: il parlamento italiano e l’integrazione europea
Daniele Pasquinucci
L’intervento prenderà in esame il tema della “de-parlamentarizzazione” del processo di integrazione europea. Con questa locuzione si fa riferimento alla graduale esclusione del parlamento italiano dal controllo delle conseguenze interne della “scelta europea”. Tale processo risale alle origini del processo di integrazione europea. La ratifica parlamentare dei trattati di Roma del 1957 venne infatti accompagnata da un’ampia attribuzione di deleghe legislative al governo per l’attuazione degli articoli dei trattati, deleghe previste per tutte e tre le tappe del periodo transitorio. Questo obiettivo deficit di controllo parlamentare non era intrinseco al processo di integrazione europea, ma era dovuto ad un uso strumentale delle procedure di ratifica dei trattati e dipendeva perciò da una determinata scelta politica nazionale. La “de-parlamentarizzazione” è stata poi consolidata nel periodo compreso tra l’Atto unico e il trattato di Maastricht in virtù dell’attribuzione di maggiori poteri, da un lato, alle regioni (ad es. nella gestione dei fondi strutturali previsti dal “pacchetto Delors”) e, dall’altro, al governo (ad es. attraverso l’ampio uso di leggi delega per l’attuazione del mercato unico). La “de-parlamentarizzazione”, in particolare nella fase discendente del processo di integrazione, ha determinato nuovi equilibri istituzionali capaci di modificare – nel medio/lungo periodo – la costituzione materiale del paese.
Il progetto di moneta unica e il nuovo primato della tecnocrazia
Daniele Caviglia
Nel corso delle principali tappe che hanno caratterizzato l’evoluzione dei progetti di unione economica e monetaria, la classe dirigente italiana ha spesso dato la sensazione di trovarsi prigioniera di un europeismo “di maniera” che l’ha talvolta posta in contrasto con gli ambienti “tecnocratici”. A partire dalla prima esperienza del “serpente nel tunnel”, passando per l’adesione allo Sme, fino ad arrivare alla partecipazione all’euro, il momento decisionale è stato contraddistinto da una vivace, e talvolta aspra, dialettica tra i decisori politici e i responsabili tecnici, in primis la Banca d’Italia. Al fondo di questo confronto risiedeva un diverso approccio di partenza nei riguardi del processo d’integrazione europea. Per i partiti di governo la partecipazione ai vari tentativi di dare corpo ad una unione economica e monetaria rientrava nel tradizionale filone europeista in cui confluivano le aspirazioni ad esercitare un ruolo di primo piano su scala continentale, l’idea di risolvere nel quadro comunitario alcuni problemi di lungo corso e la fiducia nelle virtù “pedagogiche” del progetto comunitario. Per i tecnici era invece il tema della “sostenibilità” ad essere al centro dell’attenzione, soprattutto in una fase in cui il credito attribuito alla classe politica si era notevolmente assottigliato durante i tormentati anni Settanta.
Uno schema che si ripropose anche in occasione della storica decisione di firmare il Trattato di Maastricht e, in particolare, nella scelta di entrare nel primo gruppo di paesi che avrebbero adottato la moneta unica. Avviata con decisione in seguito al crollo dell’impero sovietico e ai radicali mutamenti prodottisi in Europa orientale, la revisione dell’architettura comunitaria prese le mosse soprattutto da considerazioni di natura strategica. Come emerge chiaramente dai lavori parlamentari che accompagnarono il negoziato, il primato della politica rimase praticamente intangibile, contribuendo così a rendere poco partecipato un dibattito dall’esito scontato. La “problematizzazione” della partecipazione italiana restò quindi appannaggio di forze politiche minoritarie o di quegli esponenti della tecnocrazia, con in testa l’istituto di Via Nazionale, chiamati a valutare l’impatto macroeconomico sul paese di una decisione di rilievo storico. Una conflittualità rimasta allora sullo sfondo ma destinata a produrre i suoi effetti in seguito alla profonda crisi del sistema politico italiano. La saldatura della crisi politica (tangentopoli) e di quella finanziaria (uscita dallo Sme) avrebbe infatti sancito l’avvio dell’esperienza dei “governi tecnici” decretando così la quasi totale cancellazione del vecchio ceto politico e, in un senso più generale e profondo, il sostanziale arretramento del primato della politica.
La firma del Trattato di Maastricht assunse dunque la funzione di un acceleratore di dinamiche già messe in atto in precedenza e destinate a mutare per sempre la geografia politica del paese e il ruolo della tecnocrazia negli equilibri di potere.
Le riforme dell’Era Delors e l’evoluzione del regionalismo italiano
Lorenzo Mechi
Il contributo mira a fornire una panoramica generale sui modi in cui le riforme europee degli anni 80 e 90 concorsero a trasformare il regionalismo italiano.
Esso cercherà innanzitutto di individuare l’influenza degli approfondimenti dell’integrazione economica innescati dall’Atto Unico Europeo sul dibattito che portò nel 1993 all’abolizione dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno. Se è vero, infatti, che quest’ultima fu la conclusione di una vicenda con radici più lontane – connesse con la crescente impopolarità dell’intervento straordinario e l’emergere della “questione settentrionale” – è anche indubbio che le regole sul completamento del mercato interno introdotte dall’Atto Unico vi giocassero una funzione acceleratrice.
In secondo luogo, il contributo ricostruirà l’impatto sull’Italia della riforma dei fondi strutturali approvata nel 1988-89 col “pacchetto Delors”. Spostando la gestione delle risorse europee dal livello statale a quello regionale, essa sottopose le amministrazioni regionali italiane a una forte sollecitazione, che risultò in una serie di performance particolarmente negative nell’utilizzo dei fondi. Il conseguente dibattito politico e nell’opinione pubblica stimolò l’adozione di una serie di correttivi che solo lentamente portarono qualche miglioramento.
Infine il contributo cercherà di rintracciare il modo in cui gli sviluppi europei, inclusi quelli appena descritti (ma anche, ad esempio, l’istituzione del Comitato delle Regioni col Trattato di Maastricht), influenzarono le discussioni sul riassetto del regionalismo italiano che culminarono nel 2001 con la riforma dell’articolo 117 della Costituzione.
Il contributo si baserà sulla documentazione conservata presso gli Archivi Storici dell’Unione Europea e sui dibattiti parlamentari italiani, compendiati da qualche ricognizione sulla stampa periodica dell’epoca e dall’ampia letteratura già esistente sui temi in questione, inclusa quella di natura giuridica e politologica.
Curriculum dei partecipanti
Antonio Varsori
Professore ordinario di storia delle relazioni internazionali presso l’Università di Padova. Già Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali dal 2012 al 2015, è stato confermato nel 2015 membro del Senato Accademico per il quadriennio 2015/2019. È presidente del gruppo di collegamento degli storici dell'Europa contemporanea presso la Commissione Europea, è stato per due mandati presidente della Società Italiana di Storia Internazionale e attualmente ne è il vice-presidente. È stato per due volte "cattedra J. Monnet" di Storia dell'integrazione europea e responsabile del polo di eccellenza J. Monnet dell'Università di Firenze, nonché "success story" del Programma J. Monnet. È membro del comitato editoriale delle riviste "Cold War History", "Journal of European Integration History", "Storia e Diplomazia", "Eunomia" e "Res Publica". Dal 2015 è Direttore della rivista "Ventunesimo Secolo". È responsabile della collana "Storia internazionale dell'età contemporanea" della casa editrice F. Angeli e co-responsabile della collana "Euroclio" dell'editore Peter Lang. È "associate fellow" del centro "Ideas" della London School of Economics e del centro di ricerca IRICE dell'Università di Parigi I Sorbona. È membro del Comitato scientifico per la pubblicazione dei Documenti Diplomatici Italiani del Ministero degli Affari Esteri. È membro dello "steering committee" del progetto internazionale di ricerca HISTCOM3 per una storia della Commissione Europea, finanziato dall'Unione Europea. È stato coordinatore di numerosi progetti di ricerca nazionali e internazionali. È stato "research associate" dell'Università di Reading, "visiting fellow" dell'Università di Southampton e per due volte "professeur invité" dell'Università Sciences Po (Parigi). Ha tenuto "lectures" presso numerose università italiane e straniere, fra cui: King's College London, LSE, Université de Paris I Sorbonne, Université de Paris IV Sorbonne, Université Libre de Bruxelles, Université de Louvain-la-Neuve e CSIC di Madrid. Ha al suo attivo oltre duecento pubblicazioni in italiano, inglese, francese, tedesco e spagnolo.
Daniele Pasquinucci
Insegna Storia delle relazioni internazionali nel Dipartimento di Scienze sociali, politiche e cognitive dell’Università degli studi di Siena. Dal 2014 è Cattedra Jean Monnet in Storia dell’integrazione europea. Dal 2007 al 2012 è stato segretario generale dell’Associazione universitaria di studi europei. È autore delle monografie Uniti dal voto? Storia delle elezioni europee 1948-2009, Milano, Franco Angeli 2013; I confini e l'identità. Il Parlamento Europeo e gli allargamenti della CEE 1961-1986, Pavia, Jean Monnet Centre of Pavia, 2013; Elezioni europee e classe politica sovranazionale 1979-2004, Bologna, il Mulino, 2004; Europeismo e democrazia. Altiero Spinelli e la sinistra europea, Bologna, il Mulino, 2000. Recentemente ha curato i volumi Contro l'Europa? I diversi scetticismi verso l'integrazione europea, Bologna, il Mulino, 2016 (con Luca Verzichelli) e Integrazione europea e trasformazioni socio-economiche. Dagli anni Settanta a oggi , Milano, FrancoAngeli, 2017 (con Lorenzo Mechi).
Daniele Caviglia
Professore Associato di Storia delle relazioni internazionali presso l’Università degli studi di Enna Kore. Insegna anche History of the European Integration al Master of Arts in Law and Government of the European Union presso la LUISS-Guido Carli dove collabora con il Prof. Antonio Varsori nello svolgimento del corso di Storia delle relazioni internazionali nell’ambito del Corso di preparazione al concorso per la carriera diplomatica. Ha svolto attività di consulenza per il Presidente della I Commissione (Affari Costituzionali, del Consiglio e Interni) della Camera dei Deputati nel corso della XVII Legislatura. Tra le sue più recenti pubblicazioni figurano i volumi: La diplomazia della lira. L’Italia e la crisi del sistema di Bretton Woods (1958-1973), FrancoAngeli, Milano 2013 e curato con Elena Calandri e Antonio Varsori, Détente in Cold War Europe. Politics and Diplomacy in the Mediterranean and the Middle East, I.B. Tauris, London-New York 2016.
Lorenzo Mechi
Professore associato di storia delle relazioni internazionali presso l’Università di Padova. È stato membro di commissioni finali di dottorato presso le università di Pavia, Firenze, Parigi–Sorbona e presso l'Istituto Universitario Europeo. Ha tenuto corsi o lezioni presso le università di Firenze, Siena, Trento, Ginevra, Oslo, Timisoara, Cergy-Pontoise, Louvain-la-neuve, Florianopolis, l'Université d'Artois ad Arras, l'Université Libre de Bruxelles e l’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli. È stato Visiting professor presso le università di Arras e Cergy-Pontoise. È membro del comitato di direzione degli Annali della Fondazione Ugo La Malfa. È stato valutatore per European Research Council, MIUR, Research Foundation, Flanders (FWO), Netherlands Organisation for Scientific Research (NWO), Università di Venezia Ca’ Foscari, Katholieke Universiteit Leuven, per le case editrici UTET Università e De Gruyter academic publishing e per varie riviste scientifiche. È membro di un network di esperti che collabora con l'ILO Century Project, del gruppo di ricerca internazionale WAGE, del History of International Organization Network e del progetto di ricerca internazionale “Histcom3” finanziato dalla Commissione Europea. Ha co-organizzato 11 convegni scientifici nazionali e internazionali, ed ha partecipato come relatore a oltre 60. È autore dei volumi L’Europa di Ugo La Malfa (Milano, 2003) e L’Organizzazione Internazionale del Lavoro e la ricostruzione europea (Roma, 2012), oltre che di numerosi saggi sulla storia internazionale ed europea della seconda metà del 20° secolo.
Federico Niglia
Insegna Storia delle relazioni internazionali al Dipartimento di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli. Ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Storia dell’Europa nel 2007 alla Sapienza Università di Roma ed è stato titolare di assegno di ricerca alla LUISS Guido Carli. Insegna anche storia delle relazioni internazionali nell’Università della Tuscia e Governments of Western Europe alla St. John’s University. Dal 2018 è il Responsabile programmi formativi e accademici dell’Istituto Affari Internazionali. E’ stato visiting scholar alla Fordham University ed è coordinatore redazionale per la storia contemporanea e la storia delle relazioni internazionali della rivista Nuova Storia Contemporanea. La sua ultima monografia è Italy in international relations: the foreign policy conundrum (con E. Diodato, Palgrave Macmillan 2017).
Antonio Varsori
Relatori
Daniele Pasquinucci
Daniele Caviglia
Lorenzo Mechi
Discussant
Federico Niglia
Abstract
Il panel trae ispirazione da un progetto di ricerca avviato di recente da un gruppo di studiosi di università italiane, del quale sono membri anche i proponenti. Nonostante alcuni risultati preliminari di tali ricerche siano già stati presentati in contesti diversi, i contributi che compongono il panel qui proposto si basano su contenuti totalmente originali.
Intento generale del progetto è ricostruire l’impatto che le riforme apportate al trattato CEE fra la metà degli anni 80 e l’inizio del nuovo millennio – con l’Atto Unico Europeo (1986), i trattati di Maastricht (1992) e di Amsterdam (1997), e i nuovi meccanismi del bilancio comunitario introdotti dai “pacchetti Delors” I e II (1988 e 1993) – ebbero sull’assetto politico, economico e sociale italiano. Estendendo la sfera d’azione della Comunità/Unione Europea, modificandone la struttura istituzionale e rafforzandone in modo consistente i poteri, le riforme menzionate determinarono infatti un cambiamento radicale nel processo d’integrazione, che ebbe ripercussioni vaste e profonde in tutti i paesi membri.
Al di là di qualche lavoro di sintesi (Varsori 2010 e 2013) e di alcuni approfondimenti specifici (Curli 2014), i lavori anche recenti sulla storia dell’Italia repubblicana riservano poco spazio al modo in cui le dinamiche europee influenzarono le scelte e gli equilibri interni di quegli anni, limitandosi a generici riferimenti ai vincoli posti dai parametri di Maastricht, alle difficoltà connesse col recepimento delle direttive comunitarie e a poco altro (Crainz 2012, Colarizi 2016, fa parziale eccezione Craveri 2016). Le numerose fonti oramai disponibili sul periodo in questione, anche di carattere archivistico, consentono invece di ricostruire in modo dettagliato i vari aspetti della suddetta influenza, individuando i numerosi ambiti che ne furono interessati e tracciando così le vie attraverso le quali le riforme europee trasformarono, di fatto, la costituzione materiale del paese.
È in quest’ottica che si pone il panel qui proposto, presentando tre interventi che ricostruiscono il modo in cui i meccanismi europei stimolarono cambiamenti di rilievo nella gestione della politica economica e nella struttura e nelle dinamiche istituzionali del paese. Analizzando, in particolare, l’impulso che le nuove regole europee diedero alla progressiva marginalizzazione del Parlamento nel processo legislativo, al peso crescente della tecnocrazia nelle decisioni di politica economica e alla ristrutturazione dell’assetto regionale italiano, esso intende perseguire contemporaneamente due obiettivi. Il primo è fare chiarezza su un periodo fondamentale sia per la storia dell’integrazione europea che per la storia nazionale, evidenziando i legami profondi fra le due dimensioni e fornendo, in questo modo, nuove chiavi di lettura per la comprensione delle problematiche del nostro tempo. Il secondo è contribuire, per questa via, a far venir meno divisioni artificiose ancora presenti nella storiografia, che sembrano guardare alla storia d’Italia, dell’integrazione europea e delle relazioni internazionali come a compartimenti stagni, e che rappresentano un evidente ostacolo ad una comprensione adeguata di vicende di primissimo piano.
L’altro deficit democratico: il parlamento italiano e l’integrazione europea
Daniele Pasquinucci
L’intervento prenderà in esame il tema della “de-parlamentarizzazione” del processo di integrazione europea. Con questa locuzione si fa riferimento alla graduale esclusione del parlamento italiano dal controllo delle conseguenze interne della “scelta europea”. Tale processo risale alle origini del processo di integrazione europea. La ratifica parlamentare dei trattati di Roma del 1957 venne infatti accompagnata da un’ampia attribuzione di deleghe legislative al governo per l’attuazione degli articoli dei trattati, deleghe previste per tutte e tre le tappe del periodo transitorio. Questo obiettivo deficit di controllo parlamentare non era intrinseco al processo di integrazione europea, ma era dovuto ad un uso strumentale delle procedure di ratifica dei trattati e dipendeva perciò da una determinata scelta politica nazionale. La “de-parlamentarizzazione” è stata poi consolidata nel periodo compreso tra l’Atto unico e il trattato di Maastricht in virtù dell’attribuzione di maggiori poteri, da un lato, alle regioni (ad es. nella gestione dei fondi strutturali previsti dal “pacchetto Delors”) e, dall’altro, al governo (ad es. attraverso l’ampio uso di leggi delega per l’attuazione del mercato unico). La “de-parlamentarizzazione”, in particolare nella fase discendente del processo di integrazione, ha determinato nuovi equilibri istituzionali capaci di modificare – nel medio/lungo periodo – la costituzione materiale del paese.
Il progetto di moneta unica e il nuovo primato della tecnocrazia
Daniele Caviglia
Nel corso delle principali tappe che hanno caratterizzato l’evoluzione dei progetti di unione economica e monetaria, la classe dirigente italiana ha spesso dato la sensazione di trovarsi prigioniera di un europeismo “di maniera” che l’ha talvolta posta in contrasto con gli ambienti “tecnocratici”. A partire dalla prima esperienza del “serpente nel tunnel”, passando per l’adesione allo Sme, fino ad arrivare alla partecipazione all’euro, il momento decisionale è stato contraddistinto da una vivace, e talvolta aspra, dialettica tra i decisori politici e i responsabili tecnici, in primis la Banca d’Italia. Al fondo di questo confronto risiedeva un diverso approccio di partenza nei riguardi del processo d’integrazione europea. Per i partiti di governo la partecipazione ai vari tentativi di dare corpo ad una unione economica e monetaria rientrava nel tradizionale filone europeista in cui confluivano le aspirazioni ad esercitare un ruolo di primo piano su scala continentale, l’idea di risolvere nel quadro comunitario alcuni problemi di lungo corso e la fiducia nelle virtù “pedagogiche” del progetto comunitario. Per i tecnici era invece il tema della “sostenibilità” ad essere al centro dell’attenzione, soprattutto in una fase in cui il credito attribuito alla classe politica si era notevolmente assottigliato durante i tormentati anni Settanta.
Uno schema che si ripropose anche in occasione della storica decisione di firmare il Trattato di Maastricht e, in particolare, nella scelta di entrare nel primo gruppo di paesi che avrebbero adottato la moneta unica. Avviata con decisione in seguito al crollo dell’impero sovietico e ai radicali mutamenti prodottisi in Europa orientale, la revisione dell’architettura comunitaria prese le mosse soprattutto da considerazioni di natura strategica. Come emerge chiaramente dai lavori parlamentari che accompagnarono il negoziato, il primato della politica rimase praticamente intangibile, contribuendo così a rendere poco partecipato un dibattito dall’esito scontato. La “problematizzazione” della partecipazione italiana restò quindi appannaggio di forze politiche minoritarie o di quegli esponenti della tecnocrazia, con in testa l’istituto di Via Nazionale, chiamati a valutare l’impatto macroeconomico sul paese di una decisione di rilievo storico. Una conflittualità rimasta allora sullo sfondo ma destinata a produrre i suoi effetti in seguito alla profonda crisi del sistema politico italiano. La saldatura della crisi politica (tangentopoli) e di quella finanziaria (uscita dallo Sme) avrebbe infatti sancito l’avvio dell’esperienza dei “governi tecnici” decretando così la quasi totale cancellazione del vecchio ceto politico e, in un senso più generale e profondo, il sostanziale arretramento del primato della politica.
La firma del Trattato di Maastricht assunse dunque la funzione di un acceleratore di dinamiche già messe in atto in precedenza e destinate a mutare per sempre la geografia politica del paese e il ruolo della tecnocrazia negli equilibri di potere.
Le riforme dell’Era Delors e l’evoluzione del regionalismo italiano
Lorenzo Mechi
Il contributo mira a fornire una panoramica generale sui modi in cui le riforme europee degli anni 80 e 90 concorsero a trasformare il regionalismo italiano.
Esso cercherà innanzitutto di individuare l’influenza degli approfondimenti dell’integrazione economica innescati dall’Atto Unico Europeo sul dibattito che portò nel 1993 all’abolizione dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno. Se è vero, infatti, che quest’ultima fu la conclusione di una vicenda con radici più lontane – connesse con la crescente impopolarità dell’intervento straordinario e l’emergere della “questione settentrionale” – è anche indubbio che le regole sul completamento del mercato interno introdotte dall’Atto Unico vi giocassero una funzione acceleratrice.
In secondo luogo, il contributo ricostruirà l’impatto sull’Italia della riforma dei fondi strutturali approvata nel 1988-89 col “pacchetto Delors”. Spostando la gestione delle risorse europee dal livello statale a quello regionale, essa sottopose le amministrazioni regionali italiane a una forte sollecitazione, che risultò in una serie di performance particolarmente negative nell’utilizzo dei fondi. Il conseguente dibattito politico e nell’opinione pubblica stimolò l’adozione di una serie di correttivi che solo lentamente portarono qualche miglioramento.
Infine il contributo cercherà di rintracciare il modo in cui gli sviluppi europei, inclusi quelli appena descritti (ma anche, ad esempio, l’istituzione del Comitato delle Regioni col Trattato di Maastricht), influenzarono le discussioni sul riassetto del regionalismo italiano che culminarono nel 2001 con la riforma dell’articolo 117 della Costituzione.
Il contributo si baserà sulla documentazione conservata presso gli Archivi Storici dell’Unione Europea e sui dibattiti parlamentari italiani, compendiati da qualche ricognizione sulla stampa periodica dell’epoca e dall’ampia letteratura già esistente sui temi in questione, inclusa quella di natura giuridica e politologica.
Curriculum dei partecipanti
Antonio Varsori
Professore ordinario di storia delle relazioni internazionali presso l’Università di Padova. Già Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali dal 2012 al 2015, è stato confermato nel 2015 membro del Senato Accademico per il quadriennio 2015/2019. È presidente del gruppo di collegamento degli storici dell'Europa contemporanea presso la Commissione Europea, è stato per due mandati presidente della Società Italiana di Storia Internazionale e attualmente ne è il vice-presidente. È stato per due volte "cattedra J. Monnet" di Storia dell'integrazione europea e responsabile del polo di eccellenza J. Monnet dell'Università di Firenze, nonché "success story" del Programma J. Monnet. È membro del comitato editoriale delle riviste "Cold War History", "Journal of European Integration History", "Storia e Diplomazia", "Eunomia" e "Res Publica". Dal 2015 è Direttore della rivista "Ventunesimo Secolo". È responsabile della collana "Storia internazionale dell'età contemporanea" della casa editrice F. Angeli e co-responsabile della collana "Euroclio" dell'editore Peter Lang. È "associate fellow" del centro "Ideas" della London School of Economics e del centro di ricerca IRICE dell'Università di Parigi I Sorbona. È membro del Comitato scientifico per la pubblicazione dei Documenti Diplomatici Italiani del Ministero degli Affari Esteri. È membro dello "steering committee" del progetto internazionale di ricerca HISTCOM3 per una storia della Commissione Europea, finanziato dall'Unione Europea. È stato coordinatore di numerosi progetti di ricerca nazionali e internazionali. È stato "research associate" dell'Università di Reading, "visiting fellow" dell'Università di Southampton e per due volte "professeur invité" dell'Università Sciences Po (Parigi). Ha tenuto "lectures" presso numerose università italiane e straniere, fra cui: King's College London, LSE, Université de Paris I Sorbonne, Université de Paris IV Sorbonne, Université Libre de Bruxelles, Université de Louvain-la-Neuve e CSIC di Madrid. Ha al suo attivo oltre duecento pubblicazioni in italiano, inglese, francese, tedesco e spagnolo.
Daniele Pasquinucci
Insegna Storia delle relazioni internazionali nel Dipartimento di Scienze sociali, politiche e cognitive dell’Università degli studi di Siena. Dal 2014 è Cattedra Jean Monnet in Storia dell’integrazione europea. Dal 2007 al 2012 è stato segretario generale dell’Associazione universitaria di studi europei. È autore delle monografie Uniti dal voto? Storia delle elezioni europee 1948-2009, Milano, Franco Angeli 2013; I confini e l'identità. Il Parlamento Europeo e gli allargamenti della CEE 1961-1986, Pavia, Jean Monnet Centre of Pavia, 2013; Elezioni europee e classe politica sovranazionale 1979-2004, Bologna, il Mulino, 2004; Europeismo e democrazia. Altiero Spinelli e la sinistra europea, Bologna, il Mulino, 2000. Recentemente ha curato i volumi Contro l'Europa? I diversi scetticismi verso l'integrazione europea, Bologna, il Mulino, 2016 (con Luca Verzichelli) e Integrazione europea e trasformazioni socio-economiche. Dagli anni Settanta a oggi , Milano, FrancoAngeli, 2017 (con Lorenzo Mechi).
Daniele Caviglia
Professore Associato di Storia delle relazioni internazionali presso l’Università degli studi di Enna Kore. Insegna anche History of the European Integration al Master of Arts in Law and Government of the European Union presso la LUISS-Guido Carli dove collabora con il Prof. Antonio Varsori nello svolgimento del corso di Storia delle relazioni internazionali nell’ambito del Corso di preparazione al concorso per la carriera diplomatica. Ha svolto attività di consulenza per il Presidente della I Commissione (Affari Costituzionali, del Consiglio e Interni) della Camera dei Deputati nel corso della XVII Legislatura. Tra le sue più recenti pubblicazioni figurano i volumi: La diplomazia della lira. L’Italia e la crisi del sistema di Bretton Woods (1958-1973), FrancoAngeli, Milano 2013 e curato con Elena Calandri e Antonio Varsori, Détente in Cold War Europe. Politics and Diplomacy in the Mediterranean and the Middle East, I.B. Tauris, London-New York 2016.
Lorenzo Mechi
Professore associato di storia delle relazioni internazionali presso l’Università di Padova. È stato membro di commissioni finali di dottorato presso le università di Pavia, Firenze, Parigi–Sorbona e presso l'Istituto Universitario Europeo. Ha tenuto corsi o lezioni presso le università di Firenze, Siena, Trento, Ginevra, Oslo, Timisoara, Cergy-Pontoise, Louvain-la-neuve, Florianopolis, l'Université d'Artois ad Arras, l'Université Libre de Bruxelles e l’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli. È stato Visiting professor presso le università di Arras e Cergy-Pontoise. È membro del comitato di direzione degli Annali della Fondazione Ugo La Malfa. È stato valutatore per European Research Council, MIUR, Research Foundation, Flanders (FWO), Netherlands Organisation for Scientific Research (NWO), Università di Venezia Ca’ Foscari, Katholieke Universiteit Leuven, per le case editrici UTET Università e De Gruyter academic publishing e per varie riviste scientifiche. È membro di un network di esperti che collabora con l'ILO Century Project, del gruppo di ricerca internazionale WAGE, del History of International Organization Network e del progetto di ricerca internazionale “Histcom3” finanziato dalla Commissione Europea. Ha co-organizzato 11 convegni scientifici nazionali e internazionali, ed ha partecipato come relatore a oltre 60. È autore dei volumi L’Europa di Ugo La Malfa (Milano, 2003) e L’Organizzazione Internazionale del Lavoro e la ricostruzione europea (Roma, 2012), oltre che di numerosi saggi sulla storia internazionale ed europea della seconda metà del 20° secolo.
Federico Niglia
Insegna Storia delle relazioni internazionali al Dipartimento di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli. Ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Storia dell’Europa nel 2007 alla Sapienza Università di Roma ed è stato titolare di assegno di ricerca alla LUISS Guido Carli. Insegna anche storia delle relazioni internazionali nell’Università della Tuscia e Governments of Western Europe alla St. John’s University. Dal 2018 è il Responsabile programmi formativi e accademici dell’Istituto Affari Internazionali. E’ stato visiting scholar alla Fordham University ed è coordinatore redazionale per la storia contemporanea e la storia delle relazioni internazionali della rivista Nuova Storia Contemporanea. La sua ultima monografia è Italy in international relations: the foreign policy conundrum (con E. Diodato, Palgrave Macmillan 2017).