Presidente e Discussant
Massimo Zaccaria
Relatori
Maria Stella Rognoni
Stefano Bellucci
Luca Puddu
Abstract
Negli anni recenti, la riscoperta della storia economica dell’Africa ha riportato alla ribalta la questione irrisolta della decolonizzazione economica del continente e del rapporto triangolare tra governi europei, multinazionali ed ex dipendenze africane all’indomani dell’indipendenza. Nei primi decenni della seconda metà del ventesimo secolo, il tema era stato per buona parte monopolizzato dagli studiosi radicali e di formazione marxista, i quali coniarono il termine “neo-colonialismo” per mettere in evidenza l’ininterrotta continuità tra periodo coloniale e post-coloniale dall’angolo visuale dei rapporti di produzione. Il riprodursi di relazioni patrimoniali tra élite africane e conglomerati economici europei, così come il sostegno politico accordato a questi ultimi da cancellerie e agenzie della cooperazione Occidentali sotto l’egida concettuale della modernizzazione, vennero elevati a chiave d’interpretazione per leggere il persistente sottosviluppo del continente. Di fatto, la tesi neo-coloniale negava che alla decolonizzazione fosse corrisposta una reale indipendenza, poiché la subordinazione economica si traduceva in subordinazione politica attraverso la messa in atto di meccanismi di controllo più sfumati, ma pur sempre stringenti.
La tesi neo-coloniale è stata sottoposta a più attento scrutinio storiografico nel corso dell’ultimo decennio, grazie alla reperibilità di nuove fonti d’archivio di governi e aziende private. L’analisi del processo di decolonizzazione in Africa occidentale ha in parte contraddetto gli assunti precedenti, mettendo sì in luce le manovre dei capitali europei per ottenere misure ad hoc dai nuovi governi africani ma spesso escludendo una reale capacità d’influenza da parte dei suddetti conglomerati economici nel dettare I tempi e modi dell’indipendenza. Piuttosto, è emersa la flessibilità delle grandi aziende europee e la loro disponibilità a rielaborare la propria strategia imprenditoriale in maniera tale da raggiungere un compromesso con i nuovi governi indipendenti. Questa dialettica non è stata sempre lineare, evidenziando l’esistenza di molteplici prospettive all’interno della struttura organizzativa delle aziende coinvolte e delle cancellerie europee incaricate di tutelare i residui interessi africani.
Il panel intende contribuire a questo solco storiografico offrendo una prospettiva innovativa d’indagine sul rapporto tra governo e aziende italiane e stati africani all’indomani della de-colonizzazione. I tre casi di studio si propongono di indagare in che modo i conglomerati italiani presi in considerazione abbiano contribuito a rielaborare I rapporti stato-società e capitale-lavoro nelle realtà prese in considerazione.
Le iniziative di Agip-Eni in Nigeria 1958-1970: politica, diplomazia e risorse.
Maria Stella Rognoni
Sul finire degli anni Cinquanta, quando buona parte del continente africano guardava con ottimismo all’indebolirsi della presa coloniale, Enrico Mattei, fondatore dell’ENI, intento a cogliere ogni opportunità per garantire all’Italia l’indipendenza energetica, rivolse le proprie attenzioni ad alcune regioni dell’Africa, oltre che al Medio Oriente.
Si trattava di un interesse insieme economico e politico, come risultò chiaro dagli sforzi volti ad avviare nuovi rapporti commerciali in regioni mai ‘esplorate’ e a trovare formule sulle quali costruire relazioni politico-economiche destinate a durare nel tempo. Gli obiettivi apparivano perciò molteplici: proporsi come interlocutori credibili in un mercato fino ad allora monopolizzato da attori di lungo corso, restii all’inclusione di nuovi giocatori; cogliere con creatività e lungimiranza le opportunità offerte dal processo di decolonizzazione, anche per marcare una differenza rispetto ai vecchi partner coloniali e farsi strada in un contesto, quello delle indipendenze, ancora tutto da definire.
Basato su una ricerca multiarchivistica – archivio ENI a Pomezia; archivio MAE di Roma e National Archives di KewGardens – il contributo mira a chiarire motivazioni e conseguenze degli sforzi compiuti dall’azienda italiana sulle relazioni bilaterali Italia-Nigeria sullo sfondo dei cambiamenti dettati dall’indipendenza e dall’avvio del complesso processo di nation-building nigeriano, culminato con lo scoppio del conflitto del Biafra.
La corporate diplomacy del Banco di Roma nell’Etiopia imperiale, 1962-1971
Luca Puddu
Per molti versi il Banco di Roma rappresentò, negli anni della federazione tra Etiopia ed Eritrea, il braccio finanziario che garantì l’ancoramento dell’ex colonia Eritrea alla sfera d’influenza economica di Roma, rielaborando su nuove basi il defunto legame coloniale. All’indomani della fine della federazione (1962) l’istituto si trovò al centro di una complessa partita diplomatica tra Italia, amministrazione provinciale Eritrea e neo-nata Banca Nazionale d’Etiopia, avente come posta in gioco la residua sfera sovranità di Asmara nell’alveo bancario.
Le vicende che circondano il processo di africanizzazione dell’istituto celano la battaglia sotto traccia tra le varie anime della classe dirigente etiopica ed eritrea per costruire una relazione privilegiata con i capitali italiani e negoziare il margine d’autonomia del Banco nell’esercizio della politica creditizia. Al contempo, le strategie di adattamento perseguite dall’istituto di credito sono una cartina di tornasole delle diverse prospettive, all’interno dell’establishment diplomatico e finanziario italiano, su quale corso seguire dinanzi alla definitiva annessione dell’ex colonia primogenita da parte dell’impero d’Etiopia.
Il contributo si avvale di fonti primarie in buona parte inedite raccolte negli archivi UNICREDIT a Roma e Milano, gli archivi del Ministero Affari Esteri a Roma e gli archivi del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale a Washington DC.
Gli investimenti italiani nell’Eritrea coloniale e le trasformazioni sociali prodotte dalle attività commerciali italo-eritree
Stefano Bellucci
La storia dell’Italia in Eritrea è conosciuta e studiata. Questa relazione si propone di presentare un aspetto relativamente nuovo del complesso rapporto tra Italia colonialista e Eritrea colonizzata, ovvero quello del ruolo delle imprese economiche. Partendo dal presupposto che non v’è dubbio che le ragioni che spinsero l’Italia non furono le stesse delle grandi potenze economiche del tempo, in primis la Gran Bretagna ma anche la Germania, la presente relazione vuole dimostrare che nonostante questo vi sono stati importanti attività economiche italiane in Eritrea. Dalle medio-piccole aziende artigianali alle aziende agricole, dai trasporti (ferrovie, FIAT, etc.) all’edilizia (che fanno del centro d’Asmara attuale un patrimonio mondiale dell’UNESCO). La relazione si propone infine di notare come questo rapporto globale – tra Europa/Italia e Africa/Eritrea – abbia prodotto dei cambiamenti sociali importanti, ovvero uno stravolgimento degli assetti economici locali, alla base forse anche delle rivendicazioni nazionalistiche degli anni ’80 e ’90.
Curriculum dei partecipanti
Massimo Zaccaria
Professore Associato in Storia e Istituzioni dell’Africa presso la Facoltà di Scienze Politiche, Università di Pavia. Il suo ambito di ricerca riguarda principalmente la storia del Corno d'Africa nel periodo coloniale, con particolare riguardo ad Eritrea e Sudan.
Maria Stella Rognoni
Ricercatrice di Storia e Istituzioni dell’Africa presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Firenze.
Si è occupata di temi legati al confronto bipolare in India e in Africa, alla decolonizzazione e al ruolo delle organizzazioni non governative nella cooperazione allo sviluppo. Attualmente studia la storia dell’Africa contemporanea nelle relazioni internazionali, con particolare attenzione al ruolo delle organizzazioni internazionali e ai rapporti fra Stati africani e potenze emergenti.
Stefano Bellucci
Senior researcher presso l’Istituto internazionale di storia sociale, parte dell’Academia reale delle scienze e delle arti in Olanda; inoltre è lecturer presso l’Istituto di storia dell’Università di Leiden dove insegna Storia ed economia dell’Africa e Storia del capitalismo globale. Insegnato al’Università di Pavia e Perugia in Italia, alla Miami University negli Stati Uniti e ha lavorato presso l’UNESCO e l’OCSE.
Luca Puddu
Assegnista di ricerca in Storia e Istituzioni dell’Africa presso il Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Alma Mater Studiorum - Università di Bologna e docente di Storia e Istituzioni dell’Africa presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, Sapienza Università di Roma. I suoi interessi di ricerca vertono sulla storia politica ed economica del Corno d’Africa, con particolare riferimento a Etiopia ed Eritrea.
Massimo Zaccaria
Relatori
Maria Stella Rognoni
Stefano Bellucci
Luca Puddu
Abstract
Negli anni recenti, la riscoperta della storia economica dell’Africa ha riportato alla ribalta la questione irrisolta della decolonizzazione economica del continente e del rapporto triangolare tra governi europei, multinazionali ed ex dipendenze africane all’indomani dell’indipendenza. Nei primi decenni della seconda metà del ventesimo secolo, il tema era stato per buona parte monopolizzato dagli studiosi radicali e di formazione marxista, i quali coniarono il termine “neo-colonialismo” per mettere in evidenza l’ininterrotta continuità tra periodo coloniale e post-coloniale dall’angolo visuale dei rapporti di produzione. Il riprodursi di relazioni patrimoniali tra élite africane e conglomerati economici europei, così come il sostegno politico accordato a questi ultimi da cancellerie e agenzie della cooperazione Occidentali sotto l’egida concettuale della modernizzazione, vennero elevati a chiave d’interpretazione per leggere il persistente sottosviluppo del continente. Di fatto, la tesi neo-coloniale negava che alla decolonizzazione fosse corrisposta una reale indipendenza, poiché la subordinazione economica si traduceva in subordinazione politica attraverso la messa in atto di meccanismi di controllo più sfumati, ma pur sempre stringenti.
La tesi neo-coloniale è stata sottoposta a più attento scrutinio storiografico nel corso dell’ultimo decennio, grazie alla reperibilità di nuove fonti d’archivio di governi e aziende private. L’analisi del processo di decolonizzazione in Africa occidentale ha in parte contraddetto gli assunti precedenti, mettendo sì in luce le manovre dei capitali europei per ottenere misure ad hoc dai nuovi governi africani ma spesso escludendo una reale capacità d’influenza da parte dei suddetti conglomerati economici nel dettare I tempi e modi dell’indipendenza. Piuttosto, è emersa la flessibilità delle grandi aziende europee e la loro disponibilità a rielaborare la propria strategia imprenditoriale in maniera tale da raggiungere un compromesso con i nuovi governi indipendenti. Questa dialettica non è stata sempre lineare, evidenziando l’esistenza di molteplici prospettive all’interno della struttura organizzativa delle aziende coinvolte e delle cancellerie europee incaricate di tutelare i residui interessi africani.
Il panel intende contribuire a questo solco storiografico offrendo una prospettiva innovativa d’indagine sul rapporto tra governo e aziende italiane e stati africani all’indomani della de-colonizzazione. I tre casi di studio si propongono di indagare in che modo i conglomerati italiani presi in considerazione abbiano contribuito a rielaborare I rapporti stato-società e capitale-lavoro nelle realtà prese in considerazione.
Le iniziative di Agip-Eni in Nigeria 1958-1970: politica, diplomazia e risorse.
Maria Stella Rognoni
Sul finire degli anni Cinquanta, quando buona parte del continente africano guardava con ottimismo all’indebolirsi della presa coloniale, Enrico Mattei, fondatore dell’ENI, intento a cogliere ogni opportunità per garantire all’Italia l’indipendenza energetica, rivolse le proprie attenzioni ad alcune regioni dell’Africa, oltre che al Medio Oriente.
Si trattava di un interesse insieme economico e politico, come risultò chiaro dagli sforzi volti ad avviare nuovi rapporti commerciali in regioni mai ‘esplorate’ e a trovare formule sulle quali costruire relazioni politico-economiche destinate a durare nel tempo. Gli obiettivi apparivano perciò molteplici: proporsi come interlocutori credibili in un mercato fino ad allora monopolizzato da attori di lungo corso, restii all’inclusione di nuovi giocatori; cogliere con creatività e lungimiranza le opportunità offerte dal processo di decolonizzazione, anche per marcare una differenza rispetto ai vecchi partner coloniali e farsi strada in un contesto, quello delle indipendenze, ancora tutto da definire.
Basato su una ricerca multiarchivistica – archivio ENI a Pomezia; archivio MAE di Roma e National Archives di KewGardens – il contributo mira a chiarire motivazioni e conseguenze degli sforzi compiuti dall’azienda italiana sulle relazioni bilaterali Italia-Nigeria sullo sfondo dei cambiamenti dettati dall’indipendenza e dall’avvio del complesso processo di nation-building nigeriano, culminato con lo scoppio del conflitto del Biafra.
La corporate diplomacy del Banco di Roma nell’Etiopia imperiale, 1962-1971
Luca Puddu
Per molti versi il Banco di Roma rappresentò, negli anni della federazione tra Etiopia ed Eritrea, il braccio finanziario che garantì l’ancoramento dell’ex colonia Eritrea alla sfera d’influenza economica di Roma, rielaborando su nuove basi il defunto legame coloniale. All’indomani della fine della federazione (1962) l’istituto si trovò al centro di una complessa partita diplomatica tra Italia, amministrazione provinciale Eritrea e neo-nata Banca Nazionale d’Etiopia, avente come posta in gioco la residua sfera sovranità di Asmara nell’alveo bancario.
Le vicende che circondano il processo di africanizzazione dell’istituto celano la battaglia sotto traccia tra le varie anime della classe dirigente etiopica ed eritrea per costruire una relazione privilegiata con i capitali italiani e negoziare il margine d’autonomia del Banco nell’esercizio della politica creditizia. Al contempo, le strategie di adattamento perseguite dall’istituto di credito sono una cartina di tornasole delle diverse prospettive, all’interno dell’establishment diplomatico e finanziario italiano, su quale corso seguire dinanzi alla definitiva annessione dell’ex colonia primogenita da parte dell’impero d’Etiopia.
Il contributo si avvale di fonti primarie in buona parte inedite raccolte negli archivi UNICREDIT a Roma e Milano, gli archivi del Ministero Affari Esteri a Roma e gli archivi del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale a Washington DC.
Gli investimenti italiani nell’Eritrea coloniale e le trasformazioni sociali prodotte dalle attività commerciali italo-eritree
Stefano Bellucci
La storia dell’Italia in Eritrea è conosciuta e studiata. Questa relazione si propone di presentare un aspetto relativamente nuovo del complesso rapporto tra Italia colonialista e Eritrea colonizzata, ovvero quello del ruolo delle imprese economiche. Partendo dal presupposto che non v’è dubbio che le ragioni che spinsero l’Italia non furono le stesse delle grandi potenze economiche del tempo, in primis la Gran Bretagna ma anche la Germania, la presente relazione vuole dimostrare che nonostante questo vi sono stati importanti attività economiche italiane in Eritrea. Dalle medio-piccole aziende artigianali alle aziende agricole, dai trasporti (ferrovie, FIAT, etc.) all’edilizia (che fanno del centro d’Asmara attuale un patrimonio mondiale dell’UNESCO). La relazione si propone infine di notare come questo rapporto globale – tra Europa/Italia e Africa/Eritrea – abbia prodotto dei cambiamenti sociali importanti, ovvero uno stravolgimento degli assetti economici locali, alla base forse anche delle rivendicazioni nazionalistiche degli anni ’80 e ’90.
Curriculum dei partecipanti
Massimo Zaccaria
Professore Associato in Storia e Istituzioni dell’Africa presso la Facoltà di Scienze Politiche, Università di Pavia. Il suo ambito di ricerca riguarda principalmente la storia del Corno d'Africa nel periodo coloniale, con particolare riguardo ad Eritrea e Sudan.
Maria Stella Rognoni
Ricercatrice di Storia e Istituzioni dell’Africa presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Firenze.
Si è occupata di temi legati al confronto bipolare in India e in Africa, alla decolonizzazione e al ruolo delle organizzazioni non governative nella cooperazione allo sviluppo. Attualmente studia la storia dell’Africa contemporanea nelle relazioni internazionali, con particolare attenzione al ruolo delle organizzazioni internazionali e ai rapporti fra Stati africani e potenze emergenti.
Stefano Bellucci
Senior researcher presso l’Istituto internazionale di storia sociale, parte dell’Academia reale delle scienze e delle arti in Olanda; inoltre è lecturer presso l’Istituto di storia dell’Università di Leiden dove insegna Storia ed economia dell’Africa e Storia del capitalismo globale. Insegnato al’Università di Pavia e Perugia in Italia, alla Miami University negli Stati Uniti e ha lavorato presso l’UNESCO e l’OCSE.
Luca Puddu
Assegnista di ricerca in Storia e Istituzioni dell’Africa presso il Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Alma Mater Studiorum - Università di Bologna e docente di Storia e Istituzioni dell’Africa presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, Sapienza Università di Roma. I suoi interessi di ricerca vertono sulla storia politica ed economica del Corno d’Africa, con particolare riferimento a Etiopia ed Eritrea.